mercoledì 6 febbraio 2013

Jalisco - Anno Zero: ovvero come tutto ebbe inizio

Era l'estate del 2008, ed ero pronto a partire alla volta di Guadalajara, Messico.
Non nego di aver vissuto attimi di tensione durante il viaggio, considerato che era la prima volta che viaggiavo da solo, verso una meta così lontana dalla cara e vecchia Europa; ancor più se aggiungiamo il fatto che all'epoca non parlavo una sola parola di spagnolo. D'accordo, con l'inglese me la cavavo, ma sono sempre scettico riguardo al mio possibile interlocutore.
Al mio arrivo all'aeroporto di Guadalajara avrei trovato delle persone ad aspettarmi, ma per tutte le venti ore precedenti sarei stato solo, senza telefono cellulare (una volta partito da Parigi il mio vecchio modello sarebbe diventato totalmente inutile) e senza padronanza della lingua locale.

D'altronde, tutto questo era anche elettrizzante.

Vi risparmio la descrizione del viaggio in aereo, delle attese all'aeroporto di Parigi, e della paura di non riuscire a trovare il mio bagaglio all'arrivo a causa di un'ora di ritardo in arrivo a Città del Messico (avevo lì un ulteriore scalo, e si dice che siano parecchio lenti in queste operazioni) detto anche D.F. cioè distretto federale. In verità non c'è molto da raccontare.
Arrivato all'immigrazione saltai in fretta e furia tutta la fila che attendeva la vidimazione del visto, perché rischiavo di perdere la coincidenza e dovevo ancora prendere la carta d'imbarco. Corsi come un forsennato per quel lunghissimo aeroporto lineare, tanta era la paura di perdere l'aereo. Per fortuna i controlli di sicurezza erano praticamente assenti...

Fui davvero stupido ad avere paura, ma non volevo rischiare di passare una notte là. Ma le operazioni di "esplorazione" e check-in non richiedettero molto.

Finalmente, dopo quasi venti ore dalla mia partenza, ero sull'ultimo aereo, in vista della mia meta. E tutto era filato liscio come l'olio.

Raccolto il mio bagaglio, ero pronto ad uscire! Ma... La mia bella valigia aveva appiccicato sopra un bell'adesivo, di un colore rosso ben poco promettente. Era segno che dovevo passare i controlli della dogana, e che non venivo da un volo nazionale. Ben conscio di questo, mi avviai verso l'uscita giusta.
Fu molto curioso. Tutti i passeggeri erano in fila, ordinatamente, ed al proprio turno ognuno premeva un bottone installato ad un piccolo semaforo.

Se dopo aver premuto il pulsante la luce era verde, allora potevi passare senza problemi e dirigerti direttamente all'uscita. Se invece usciva rosso, saresti stato gentilmente invitato a far maneggiare il contenuto del tuo bagaglio dalla sicurezza.
Sarebbe stato un inconveniente spiacevole per me, che di passare tempo in compagnia della polizia aeroportuale messicana non ne avevo nemmeno un po' voglia. E per fortuna ero preparato a questo. Sapevo che la possibilità di trovare luce rossa non era casuale, ma che questa si accendeva dopo un tot di passaggi. Non vi dirò quanti.
Notavo che la luce rossa non arrivava ancora... Brutta faccenda. Bisogna inventarsi qualcosa... Oh, ma guarda! Una scarpa slacciata, che sbadato. Adesso mi chino ad allacciare la stringa e... Ehi ehi ehi, non si supera! Che maleducazione, dico io... Oh! Luce rossa!
Mi rimisi in coda e fui fuori da quello smistatore infernale.

Finalmente ero a Guadalajara. Un nuovo capitolo si apriva davanti a me.

In conclusione, prima di andare a svenire sul letto andai a mangiare in un bel posticino dove potevi mangiare tacos buonissimi in gran quantità spendendo pochissimo, e soprattutto senza che nessuno tenesse il conto di quanto mangiavi. Tu stesso dichiaravi quando avevi mangiato al cassiere, che ti chiedeva il corrispettivo prezzo.

Che giornata. E che mangiata.

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