martedì 9 aprile 2013

A volte è meglio tacere

Uno dei luoghi comuni sul Messico è che essere straniero fa un sacco figo, tranne che se sei un gringo. Allora in quel caso non è che piaci poi molto, però gli italiani in genere sono sempre apprezzati e sono considerati anche gente sveglia e interessante che sa un sacco di cose.
Ora, c'è da dire che Guadalajara non è il Giappone, o perlomeno non è il Chiapas e quindi si passa abbastanza inosservati, tanto di stranieri da un po' tutto il mondo li trovi sempre. 
Quando apri bocca però, il sospetto lo fai venire, specie uno come me che tutto sommato lo spagnolo lo sa, ma che quando c'è da fare dei discorsi difficili poi mi impappino e va a finire che mi sudano le papille gustative e parlo come lo zio toscano che a dire certe lettere o parole ci prova, ma non ce la fa mica.

A quel punto è andata. E se ti è andata pure male ti succede come a me.
Sono a la Gran Plaza in un negozio di dischi che cerco un paio di album di gruppi fichissimi che ho appena conosciuto, tipo gli Zoè e i Caifanes. Arriva un commesso che vuole aiutarmi, e malauguratamente lo assecondo, perchè volevo ascoltare un disco prima di comprarlo per vedere se davvero sarebbe piaciuto. E uno pensa, tanto ci sarà quella solita macchinetta con le cuffie piene di cerume altrui dove il commesso infila il disco e dopo torna a leggere e a fregarsene un po' di tutto.
No.
Il negozio ha una saletta separata con un impianto stereo gigantesco, che per mettere il cd hai bisogno della scala e una poltroncina dove puoi ascoltare tutto nel miglior modo possibile. Ma se tanto io a casa lo ascolto sul pc, mi bastavano un paio di cuffiette piene di cerume, e almeno non sento il commesso fare i suoi commenti.
Ecco, qui arriva il momento in cui, nei commenti musicali, il commesso si accorge che proprio buono buono il mio spagnolo non è, e mi tocca dire che sono italiano. Solo a quel punto mi accorgo di un paio di cose, tipo che il commesso è un po' viscido e che il suo modo di fare in effetti era un pochino mellifluo, ma pensavo a non buttare via dei soldi e mica ci avevo fatto caso. Poi ripenso a quelli che mi avevano detto che Guadalajara è una città con una grossa comunità omosessuale piuttosto libertina. E mi rendo conto anche di essere in una saletta da solo con lui.

Le papille gustative stavolta non sudano, ma ci sono altri punti del corpo che cominciano decisamente a non essere convinti della situazione.
A questo punto vuole sapere qualcosa dell'Italia, ma mica sulla pizza o sugli spaghetti, ma se i gay sono benvoluti in Italia, e cosa ne penso io.
Cerco di sorvolare.
Poi il tipo prende il portafogli e tira fuori una fotografia, è lui in calze a rete e minigonna su un marciapiede che quasi direi che era a lavorare in tangenziale.
Al che sono costretto a fargli notare con un po' più di decisione che a me le donne piacciono, però quelle senza papero, e che non capisco perchè mi fa vedere la foto, e che comunque il disco mi piace e che lo compro.

La cosa grazie a Dio finisce lì. Com'è uso per i commessi, lo porta lui stesso alla cassa, io pago e poi mi dice arrivederci e spera di rivedermi, e non so più se è la normale frase di commiato che si usa o c'è un secondo fine. Poi io non sono bravo con i primi fini, figuriamoci con i secondi che mi vanno in conflitto i pensieri.

Così, giusto per ricordare che talvolta passare inosservati nella vita non è poi tanto male.

Ah, però il disco mi era piaciuto molto, ed era questo:


Magari ne parlerò meglio la prossima volta.

A presto amici!

5 commenti:

  1. Ahahahahahaha!!!! Incredibile!

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  2. Beh, dai... pensa se dovesse capitarti una vicenda del genere, ma nel mezzo di una... colonscopia!!!

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  3. Eh si! Ma se il regista fosse uno del calibro di Ed Wood... Sale gremite!

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